Nel primo de "Gli incontri del Fantini Club" il nostro amico Lorenzo Dallari ci ha condotto in un dialogo approfondito con una delle icone del calcio mondiale, uno dei CT migliori di tutti i tempi, Arrigo Sacchi.
Da poco è stato riconosciuto come uno dei dieci allenatori ad avere cambiato il calcio mondiale e tra i tre migliori allenatori della storia.
Non sono mancati gli aneddoti sportivi e i racconti di quella che è stata ed è tutt’ora una delle storie calcistiche più belle di sempre. Arrigo ci ha mostrato, ancora una volta con grande umiltà, come prima di essere un grande allenatore sia un grande uomo e maestro di vita.
(Arrigo Sacchi e Ciro Ferrara al Fantini Club)
Se ti dico 1987 Arrigo cosa ti viene in mente?
“Allenavo il Parma. Mi ha chiamato il Signor Silvio Berlusconi. Quando mi ha chiamato pensavo fosse uno scherzo, non pensavo di essere io l’oggetto dell’interesse del Milan. Arrivato a Milano mi disse che voleva fare del Milan la squadra più forte del mondo e io gli risposi che poteva essere frustrante ma anche limitativo. Quando la squadra del Milan ’89 è stata riconosciuta come la miglior squadra di tutti i tempi, io chiamai subito Silvio e gli spiegai il motivo di quel limitativo: perchè puntare ad essere i migliori del mondo quando potevamo essere i migliori di tutti i tempi?”
Il tuo Milan il più grande di tutti i tempi, e Sacchi?
“Ne han beneficiato tutti. Per me era veramente una grande squadra ma nessuno di loro aveva mai vinto la coppa dei campioni, nessuno il pallone d’oro. Siamo migliorati tutti e io anche, devo molto al club e a questi giocatori che sono stati dei grandi professionisti. Chiedevo delle cose a cui non erano abituati, ma poi siamo andati oltre i nostri sogni. Nessuno di noi avrebbe pensato di avere questi riconoscimenti. Io devo ringraziare tutte le società in cui sono stato. Non sono neanche mai retrocesso e mai stato esonerato, e ho sempre avuto la fortuna di trovare società pazienti e competenti, I miei inizi sono sempre stati mediocri e io mi sono sempre difeso dicendo che se uno vuol costruire una baracca, non c’è bisogno delle fondamenta, ma se uno vuol costruire un grattacielo le fondamenta devono essere forti e serve molto lavoro”.
Come hai fatto a rendere il Milan grande e come riusciamo ad essere grandi oggi noi, date le difficoltà?
“Tutto inizia dal Club. Un club aveva una leadership forte. Abbiamo scelto i perfetti interpreti per il tipo di calcio che volevo giocare, guardando prima di tutto la persona, la sua intelligenza, la sua disponibilità e generosità, l’etica del collettivo e del lavoro, e una condivisione dell’obiettivo. Non mi interessava un grande giocatore egoista, invidioso, avido e con tutti sentimenti non nobili. Avere delle persone intelligenti è un vantaggio per tutti, tu dai a un giocatore nobile una cosa e lui te la restituisce migliorata”.
Se dovessi allenare adesso cosa cambieresti nel tuo modo di allenare?
“Cassius Clay diceva che se una persona a 50 anni pensa ancora come pensava a 20 ha sciupato 30 anni della sua vita. In questo periodo in cui sono a casa da un po’ di tempo ho guardato le partite in cui allenavo il Rimini, il Parma e devo dire che farei tante cose diverse, però quello che manterrei è credere nella persona prima che nel giocatore. A me interessa la persona, l’ambizione, il ragionamento e il suo coraggio. Quando l’ambizione è sana ti permette di bruciare le tappe, Avere coraggio significa essere ottimisti. Senza conoscenza non c’è né coraggio né innovazione”.
Quale allenatore di oggi ti assomiglia di più?
“Tutti quelli che credono nel futuro e che sanno sognare. Il sogno rende la vita interessante e la mia vita è stata interessante, stressante, ma rifarei tutto. Il successo non sono le vittorie che ho fatto, ma è il non rimpiangere nulla. Un mio compaesano mi ferma spesso rammaricato per la finale dei Mondiali persa ai rigori. Lui è un idraulico e io gli chiedo sempre se sarebbe rammaricato ad essere il secondo idraulico migliore del mondo”
Quante volte ripensi a quella finale del Mondiale ai rigori?
“Quando siamo partiti per il mondiale chiesi ai giocatori quale fosse la loro previsione. Tutti mi dissero i quarti. Siamo arrivati in finale e abbiamo perso ai rigori, non sul campo. Questi giocatori hanno fatto squadra senza il bisogno del pubblico, che non c’era o comunque era poco. Per arrivare ai mondiali già avevamo vinto un torneo con squadre difficili. I giocati hanno dato il 100%. Se tutti gli italiani dessero il 100% sarebbe perfetto. Gli eroi sono quelli che danno il massimo. A fine primo tempo avevo un po’ di giocatori sfiniti che mi chiedevano il cambio perché giocavamo anche in condizioni climatiche impossibili, con un’umidità del 100%”
Dicono da casa che quella nazionale lì è stata la migliore di tutti i tempi. E’ un gran complimento?
“Per me no. E’ stata una nazionale degna. Ti racconto un aneddoto. Dovevamo allenarci sulla costa Est, ma faceva un gran caldo, i giocatori bollivano. Chiedemmo in una relazione al presidente della federazione di poter andarci ad allenare sulla costa Ovest dove almeno la notte la temperatura scendeva un po’. Il presidente ci disse che si immaginava già i giornali che avrebbero scritto che l’Italia tradiva i suoi migranti, perché la maggior parte degli italiani era sulla costa Est e disse che avremmo avuto condizioni climatiche avverse, ma con il tifo a favore. Prima partita contro l’Irlanda del Nord il dirigente accanto a me, Valentini, mi aveva detto che gli Italiani avevano quasi tutti acquistato i biglietti. Ma io vedevo solo delle bandiere Irlandesi! Andammo dentro e c’erano 60 mila irlandesi e 10 mila italiani. Era successo che gli italiani avevano comprato i biglietti e li avevano rivenduti agli irlandesi”
Ci torniamo al mare quest’estate?
“Dobbiamo! Io credo che l’Italia debba pensare quanto è importante il turismo per il nostro PIL. E’ evidente che il turismo marittimo incida molto su questo dato. Ci sarebbe bisogno che lo stato e il governo desse una mano non solo a parole ma anche coi fatti. Mi sembra che si sia mosso tutto poco. Una stangata sarebbe anche aprire le scuole il primo Settembre. Già apri dopo se fai anche chiudere prima, sarebbe una mazzata per il turismo devastante”
Tu Arrigo sei anche un addetto ai lavori. Cosa si dice tra voi imprenditori di Cervia- Milano Marittima?
“Io vado a Milano Marittima da quando ho 12 anni, ed è sempre stato per me il momento più rilassante. La riviera Adriatica oltre essere molto ospitale ti da tante strutture sportive, per tutti gli sport. Oggi lo sport è fondamentale. Una cosa che io non ho accettato è che questo Covid precluda agli italiani di muoversi. Noi abbiamo l’emisfero di destra predisposto alla creatività che viene totalmente inibito dal pessimismo. Noi abbiamo delle ghiandole che secernono endorfine se fai sport che ti portano all’ottimismo. Quanto è importante oggi esser ottimisti! Per colpa di pochi hanno dovuto bloccare lo sport, che era una delle opportunità buone per vivere questo momento!”
E cosa fai nel tempo libero?
“Leggo molto. Ho un arretrato di 40 anni. E’ la prima volta che sto fermo per così tanto tempo. Quindi accetto con sollievo e con ottimismo questo momento perché sono convinto che quando riusciremo ad andare oltre a questo virus saremo migliori, più generosi più umani. Questa è la storia che lo dice. I grandi momenti di virus e fatica ci sono stati e sempre le persone si sono dimostrate più cristiane e pensierose verso il prossimo. Qui bisogna fare un elogio a questi medici e questi infermieri, autisti volontari e non, che stanno dando la vita. Questo però deve essere un rimorso per noi di un’organizzazione carente. Li abbiamo mandati al fronte senza armi.
Arrigo, guardando tutti i tuoi titoli ti rendi conto di essere un mito?
“No, sono stato una persona molto fortunata, e ho trasformato una passione in un lavoro. Ho avuto grandi risultati grazie a tante società. Io iniziai a Fusignano, persi tutte le partite pre-campionato ma decisero di tenermi. Arrivai al Milan e vinsi tutto, tutte competizioni mai fatte prima. Quello che fa la differenza non è vincere, perché vincere possono vincere tutti, ma è il come. Quel Milan aveva un calcio dominante, un calcio coraggioso, eravamo equilibrati. Una vera squadra nello spirito nel gioco, nel lavoro, avevamo messo al centro il gioco, e quando avevano capito che era il miglior antidoto per fermare l’avversario, tutti i giocatori giocavano per giocare e per vincere. Poi io sono stato dottore senza fare l’università, somelier senza bere mai vino, va a dire che non ci vuole fortuna nella vita!”